Morire giocando si può: è il caso di un fan accanito di Diablo 3, protagonista del secondo fatto di cronaca nera che ha coinvolto il titolo targato Blizzard, scatenando l’ira dell’opinione pubblica, delle famiglie e di tutti coloro che, o per un motivo o per un altro, non vedono di buon occhio i giochi per console e non solo. Il ragazzo in questione si chiamava Chuang e aveva solo diciotto anni; è morto per aver passato ben quaranta ore di gioco dinanzi al PC, giocando a Diablo III (non si hanno ancora moltissime sicurezze a tal proposito, ma sembra che tale situazione abbia compromesso condizioni di salute di per sé già abbastanza gravi). A riportare la notizia è stato il quotidiano United Daily News, che ha raccontato nei minimi dettagli cosa sarebbe accaduto: Chuang ha affittato una stanza privata di un locale venerdì, per poi giocare ininterrottamente per quasi due giorni, senza mangiare, e morire nella giornata di domenica 15 luglio: un responsabile del locale lo ha trovato steso a terra, lo ha portato in ospedale, ma non è riuscito a salvarlo.
Un altro caso simile ha avuto come protagonista Russell Shirley, che amava così tanto il magico mondo del gioco per Personal Computer e Mac che avrebbe trascorso più di settanta ore davanti allo schermo, senza mai fermarsi. Sulla vicenda non sono stati forniti dettagli, e quelle poche testimonianze che gli amici di Russell hanno fornito sono discordanti: c’è stato chi ha ne ha parlato come un ragazzo con problemi di peso e apnea e chi, invece, lo ha descritto come un uomo in salute; indipendentemente da tutto, comunque, a stroncarlo sarebbe stato un infarto, dovuto alle troppe ore di gioco che hanno portato il cuore ad affaticarsi notevolmente.
Il condizionale è d’obbligo, visto che, pur avendo giocato moltissimo al titolo, la morte del ragazzo non è dipesa da Diablo 3. A dare la notizia della morte di Russell fu Gameranx, che sarebbe stato contattato proprio dagli amici più stretti del trentaduenne, intenzionati a ricordarlo in uno dei siti più visitati della blogosfera. Fu commesso, in realtà, un grosso equivoco, o meglio: tutto ciò che fu raccontato dal sito dipese da uno scherzo di cattivo gusto fatto da qualcuno.
I veri amici della presunta vittima inviarono, infatti, un’e-mail con allegata una foto che ritrae Russell e la sua famiglia felici e abbracciati, a testimonianza del fatto che quanto scritto nel blog, e cioè che Russell fosse in cattivi rapporti con i genitori, era assolutamente privo di fondamenta; per di più, i compagni del deceduto sottolinearono che a causarne la morte non fu il gioco: Russell non era assolutamente dipendente e non aveva mai trascorso così tanto tempo al PC.
‘Sappiamo che moralmente – così ha concluso il blog – quello che è stato pubblicato non può essere cancellato e ci scusiamo con Russell, i suoi amici e la sua famiglia‘.
Diablo III è stato pubblicato a maggio e ha riscosso un notevole successo: Blizzard ha annunciato che il gioco ha venduto ben sei milioni di copie, 6.3 per essere più precisi, tra cui rientrano i tre milioni e mezzo di copie acquistate al day one e dai quali sono stati esclusi tutti coloro che si sono abbonati a World of Warcraft (circa 200mila) e che hanno ricevuto gratuitamente il gioco, oltre alle internet room coreane, in cui il titolo è giocato dal 39% dell’utenza. Alla luce dei fatti, insomma, si può parlare di un vero e proprio fenomeno ‘Diablo‘, destinato senz’altro a crescere ulteriormente, che sarà al centro dell’attenzione dei mass media per molto tempo.
Nonostante questo, i due avvenimenti hanno colpito moltissimo Blizzard (tirata in ballo, come avete potuto constatare, senza motivo), soprattutto il più recente, causato davvero – a quanto pare – da troppe ore di gioco.
‘Siamo addolorati per notizia – ha così esordito il producer del titolo – e il nostro pensiero va alla famiglia in questo momento difficile. Pensiamo che non sia il caso di commentare in alcun modo prima di conoscere tutte le circostanze‘.
La casa di sviluppo ha concluso, spiegando che i giocatori dovrebbero dare più importanza alla propria vita, alla quotidianità di tutti i giorni, che a qualsiasi altra forma di intrattenimento.
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